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Qual è il ruolo della scuola nella formazione di una cultura della disabilità?

13/06/2012

 Se vogliamo identificare, in quel percorso lungo, talvolta tortuoso, e sempre complesso che porta al riconoscimento dei pieni diritti civili anche a chi è afflitto da una qualche disabilità, una data di importanza capitale, possiamo trovarne una eccellente nel 30 marzo 1971. In quel giorno il Parlamento approvò la legge 118 sull'invalidità civile, segnando allo stesso tempo, straordinariamente, un punto di arrivo e uno di inizio. Le istituzioni infatti con tale legge recepirono interamente quel movimento di presa di coscienza e consapevolezza che, ad opera di volontari e famiglie, era andato sviluppandosi nel decennio precedente, concludendolo, e allo stesso tempo diedero inizio allo straordinario sviluppo di una rete di enti e servizi di assistenza per i disabili e per i membri delle loro famiglie.

Non sarebbe in alcun modo possibile analizzare e capire quelo che fu l'andamento di tale sviluppo, che come abbiamo detto derivò da un felice incontro fra il lavoro legislativo svolto dalle istituzioni e quello culturale svolto ogni giorno, nel quotidiano, da famiglie e volontari, con pazienza e fatica, se si volesse prescindere dall'osservarne un attimo di importanza capitale, ossia l'ingresso degli operatori della riabilitazione, fino ad allora confinati all'ambito di ospedali e ambulatori, in un mondo che non li conosceva e li ignorava: quello della scuola. Una distanza, a dirla tutta, consapevole e volontaria: la scuola non riteneva che la disabilità rientrasse nella sua sfera d'intervento, nè disponeva degli strumenti per affrontare il problema, tanto che i primi, numerosissimi inserimenti furono sempre complessi, spesso forzati, e in talune situazioni vennero definiti come "selvaggi".
Sorge allora una domanda inevitabile: nell'affermazione che talvolta si sente, ossia che l'inserimento del concetto di recupero della disabilità nella cultura scolastica avvenne con una forzatura, c'è del vero? Sebbene "forzatura" sia un termine forse troppo accusatorio, e probabilmente eccessivo, siamo costretti a riconoscere che c'è del vero in questa critica. Di certo sarebbero parsi più raccomandabili tempi più lunghi per l'inserimento, e per permettere ad insegnanti e strutture di prepararsi ad affrontare problemi per loro completamente nuovi e sconosciuti. Tuttavia, se anche fu una forzatura, non dimentichiamoci che è a tale forzatura che dobbiamo la legge 5/7, l'inserimento in organico degli insegnanti di sostegno, e tutti gli elementi che rendono le nostre scuole tanto all'avanguardia nel recupero della disabilità.
E non bisogna commettere l'errore di sottovalutare l'importanza dell'ambito scolastico nella realizzazione del percorso di cui parliamo, quello che conduce ad una maggior equità di diritti per tutti i cittadini, sani e disabili allo stesso modo. In ogni classe in cui studiano, insieme ai loro coetanei, alcuni delle centinaia di migliaia di studenti disabili di tutte le età del Paese, dalle aule della scuola primaria a quelle delle superiori, il sostegno operato dalle istituzioni permette la nascita di un confronto importante e fertilissimo, positivo per tutte le parti in causa. Da un lato, infatti, chi della disabilità non ha esperienza, e spesso formula giudizi preconcetti o dettati dal timore, ha modo di sviluppare una nuova consapevolezza e un nuovo rispetto; dall'altro, chi vede i suoi sforzi premiati con un superamento delle difficoltà imposte dalla propria disabilità sviluppa maggiore fiducia nel futuro e nelle proprie reali possibilità.
 




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